PAOLO
CHEMELLO

MEDICO CHIRURGO SPECIALISTA
IN ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA

PROTESI D’ANCA

L’ articolazione coxo -femorale è una delle più grandi del corpo e deve sostenere un carico notevole. E’ coinvolta praticamente in ogni movimento del corpo. E’ un articolazione sferica e, per questo, consente dei movimenti molto ampi. Dal punto di vista osseo è costituita dalla cavità acetabolare e dalla testa del femore che in essa trova alloggio, quest’ultima è circondata sul proprio margine dal labbro acetabolare (cercine).
L’ intervento di protesi d’anca consiste nella sostituzione completa dell’articolazione completa dell’articolazione utilizzando delle protesi di metallo, polietilene o ceramica. Costituisce una soluzione orami consolidata per molte patologie invalidanti quali l’artrosi o l’artrite reumatoide che sono causa di fenomeni degenerativi delle superfici della cartilagine articolare e che provocano dolore e limitazione funzionale.

STORIA

Fino al secolo scorso le patologie degenerative dell’articolazione dell’anca erano considerate come accadimenti ineluttabili, associati all’età̀ avanzata dei pazienti. Pochi erano i malati sui quali si interveniva chirurgicamente per alleviare il dolore causato da tali affezioni. I primi tentativi di artroplastica risalgono alla fine del 1800.
Agli inizi degli anni ’50 grazie il Dottor Charnley produsse una protesi in teflon a doppia componente non cementata, costituita da due sottili coppe di 2-3 mm in politetrafluoroetilene che rappresenterà la madre di tutte le protesi. L'importanza dell'opera di Charnley è dovuta anche al suo contributo alla comprensione della biomeccanica dell'articolazione dell'anca.
Sul finire degli anni ‘70 ma soprattutto lungo il corso degli anni ‘80 si intensificano le ricerche in campo protesico e moltissimi furono i modelli realizzati in questo periodo.
Nel 1983 Spotorno presentò una protesi non cementata caratterizzata da una fissazione prossimale. Zweimuller a partire dal 1979 fino al 1993 sviluppò una serie di steli a forma conica con sezione rettangolare che permetteva un maggior contatto corticale e garantiva la stabilità rotatoria.
Un’importante novità fu introdotta dalla scuola francese nella figura del Prof . Bousquet che nel 1970 introdusse il concetto della DOPPIA MOBILITA’ per ridurre enormemente il rischio di lussazione delle protesi di anca portandola sotto 1%.

INDICAZIONI

• Artrosi primitiva dell’anca
• Artrosi secondaria (esiti di displasia congenita dell’anca, esiti di epifisiolisi, esiti artrtiti settiche..)
• Artrite reumatoide o forme artritiche autoimmunitarie sieronegative
• Osteonecrosi asettica dell’epifisi femorale
• Artrosi post-traumatica (esiti di fratture o di lussazioni del femore o del bacino)
• Fratture sottocapitate della testa del femore
Tranne nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una frattura, l’intervento è indicato solo quando una delle patologie citate degenera al punto da provocare grave dolore o rigidità che limitano le attività quotidiane.
Non esiste un limite si età predefinito per l’esecuzione dell’intervento ne un limite di peso. Da ricordare però, che un peso corporeo eccessivo riduce la durata della protesi che, in media, è di circa 20 anni. Quando una protesi è usurata si può sostituire tramite un intervento detto di revisione, più complesso e rischioso di quello di impianto.

TECNICA DI IMPIANTO:

Attualmente la chirurgia protesica dell’anca viene praticata senza particolari problemi in quasi tutte le strutture Ospedaliere. Negli ultimi decenni, si è andata consolidando sia la conoscenza dei materiali usati per la produzione delle componenti protesiche sia quella delle tecniche chirurgiche, in modo da essere sempre meno invasivi e rispettare sia i tessuti molli (cute, fasce muscoli tendini) sia i tessuti ossei con il cosiddetto bone – stock.
Ci sono diverse vie d’accesso chirurgiche per eseguire l’intervento d’impianto delle protesi di anca. Io preferisco l’accesso posteriore per via mini-invasiva che permette di effettuare incisioni dell’ordine di 8/10cm a livello del trocantere (a seconda della corporatura del paziente la ferita può essere leggermente più grande) e determina una riduzione del rischio di sanguinamento permettendo un più rapido recupero funzionale.
Si incide cute e sottocute e successivamente il tensore della fascia lata, per poi raggiungere i muscoli extra-rotatori dell’anca (piriforme- otturatore esterno otturatore interno – gemello superiore ed inferiore e il quadro del femore). Di questi muscoli vengono staccate le inserzioni tendinee sul trocantere (otturatore est-int e gemello sup-inf) che vengono montate su un filo per sutura ed a fine intervento vengono re-inserite nella medesima posizione, ricostruendo perfettamente l’anatomia originaria. Il muscolo piriforme ed il quadro del femore non vengono interessati dall’ intervento. Superati i fasci muscolari, si incide la capsula dell’articolazione per esporre il femore e successivamente l’acetabolo per poi, con appositi strumenti, impiantare le componenti acetabolari e femorali della protesi.
Si esegue prima un impianto di prova e si eseguono delle manovre per valutarne la stabilità, si verifica inoltre al lunghezza dell’arto operato rispetto al controlaterale. Verificata l’adeguatezza dei componenti si procede all’impianto definitivo.
L’intervento si conclude riattaccando le inserzioni tendinee e richiudendo fascia, sottocute e cute.
Come per il ginocchio questa parte potrebbe essere messa in un riquadro che la renda più evidente


PROTESI D’ANCA A DOPPIA MOBILITA’

Oltre alle protesi tradizionali io utilizzo un sistema di protesi a “doppia mobilità” in Oxinum, la procedura di intervento è la stessa, ma questa innovativa tipologia di impianto, per la sua peculiarità biomeccanica, può essere considerata di prima scelta nelle persone con maggior rischio di lussazione come quelle di età più avanzata o con patologie neuromuscolari. Gli ottimi risultati, legati all’aumento del range di movimento ed alla minore usura dei materiali la rendono adatta a tutti i pazienti. Inoltre riduce al di sotto dell’1% la probabilità che si verifichino lussazioni anche in seguito a traumi di una certa gravità e permette un range di movimento del tutto uguale a quello fisiologico.


DECORSO POST-OPERATORIO:

Il giorno dell’intervento il paziente viene lasciato a letto per evitare di sottoporlo ad ulteriore stress.
Il giorno successivo (prima giornata post operatoria), viene aiutato ad alzarsi e a deambulare con le stampelle dando carico totale all’arto operato. Gli viene anche spiegato quali sono i movimenti da evitare dopo l’intervento di protesi (accavallare le gambe, flettersi troppo con il busto come per cercare di raccogliere qualcosa a terra senza flettere le ginocchia ecc).

Nei giorni successivi il paziente diventerà sempre più autonomo nei movimenti e, nell’80% dei casi, dopo tre giorni dall’intervento la persona deambulerà normalmente se pur con l’ausilio delle stampelle. La dimissione di media avviene in 5° giornata post-operatoria. Dopo l’intervento sono necessari circa 15-20 giorni di fisioterapia specifica, per 20 giorni la persona dovrà indossare una calza elastica per ridurre il rischio di trombosi e fare terapia eparinica. La completa ripresa funzionale avviene in media dopo 45 giorni.

PROGNOSI:

Grazi al progressivo miglioramento dei materiali utilizzati per la loro costruzione, la durata media delle protesi è di circa 15/20 anni ma esistono vari fattori possono modificare questo dato, in particolare il peso corporeo e l’attività fisica. Ad esempio pazienti giovani che praticano attività sportiva o che fanno lavori usuranti hanno un’elevata probabilità di doversi sottoporre ad una revisione soprattutto se sono sovrappeso. Viceversa una persona anziana con basse richieste funzionali alle sue articolazioni ha buone possibilità di mantenere la stessa protesi tutta la vita.

In seguito all’intervento sono sconsigliati sport che prevedono di correre o di saltare perché questi determinano una maggiore usura dell’impianto condizionandone la durata. Si consiglia inoltre prudenza in tutte le attività che pongono la persona a rischio di subire un trauma (sci, equitazione, ciclismo, motociclismo…) per le conseguenze che questo potrebbe avere sulla protesi.
Una delle più frequenti complicanze della protesi d’anca è la lussazione. Può avvenire per diversi motivi, fra questi il mal posizionamento delle componenti protesiche, movimenti fatti in modo scorretto, traumi, un calo eccessivo del tono muscolare o non compliance della persona alla fisioterapia post-intervento.